Storage aziendale, le qualità vincenti del SDS (software-defined storage)
Il software-defined storage (SDS) sta emergendo nel panorama delle architetture di storage come un abilitatore strategico per la trasformazione dei data center in chiave più flessibile, aperta ed economicamente più efficiente. Una recente indagine condotta da IDC a livello europeo rivela in effetti che un numero crescente di organizzazioni IT aziendali sta optando per soluzioni SDS per gestire volumi di dati (strutturati e non) sempre più grandi e soprattutto per supportare workload sempre più complessi, dinamici ed eterogenei.
Nel periodo 2015-2019, IDC stima un tasso medio annuale di crescita per il mercato mondiale SDS pari al 21% in valore e addirittura al 45% in capacità. Nel 2015, il giro d’affari del mercato mondiale è stato di 4,5 miliardi di dollari, con una capacità rilasciata di 5,6 EB.
Il software-defined storage fondamentalmente cambia il modo in cui le piattaforme di storage vengono create e rilasciate dai fornitori così come anche il modo in cui vengono acquistate e consumate dagli utenti. IDC definisce SDS un sistema (hardware più software) in grado di fornire un set completo di servizi di storage mediante uno stack software autonomo (commerciale od open source) che gira su (ma non è vincolato a) piattaforme hardware (storage server-based) costruite utilizzando componenti industry-standard.
Quali sono i vantaggi dell’SDS? Secondo IDC, in primis una semplificazione della gestione dello storage aziendale. Essendo tutte le principali funzionalità di storage fornite direttamente dallo stack software, ne deriva una maggiore efficienza in termini di gestione ed elaborazione dei dati. Inoltre, il fatto che questo stack software risulti disaccoppiato dall’hardware sottostante, sta portando sempre più aziende a preferire l’SDS per evitare i vincoli del vendor lock-in. Da sottolineare, a tal proposito, una tendenza sempre più marcata da parte delle aziende all’adozione di componenti software open source.
Il 34% delle aziende europee, rivela IDC, indica nella possibilità di scalare lo storage in maniera economicamente più efficiente il primo driver per l’adozione di architetture SDS. La roadmap di IDC prevede del resto che proprio l’evoluzione del data center verso il cloud ibrido sia realizzabile attraverso un approccio software-defined, che vada a disaccoppiare la componente fisica dalle sue capacità, considerandolo come un unico pool di risorse da cui attingere in base alle necessità del business e quindi in grado di assecondare l’altalenarsi dei carichi di lavoro.
Come l’SDS, e in particolare la sua versione open source, permette di realizzare ambienti operativi altamente scalabili nei modelli di delivery service-oriented quali il cloud ibrido sarà oggetto di un evento organizzato da Fujitsu, Intel e Red Hat in collaborazione con IDC il prossimo 1 febbraio a Roma.
Intitolato Define Your Strategy, Open Your Infrastructure, l’evento fornirà proprio l’occasione per trovare risposte a quesiti quali:
• Come ridurre il TCO degli ambienti storage attraverso un approccio software-defined?
• Open source e sicurezza, due facce della stessa medaglia?
• La digital transformation si fonda anche e soprattutto sull’open source. Quali opportunità?
All’evento parteciperanno gli analisti di IDC e gli esperti di Fujitsu, Intel e Red Hat, oltre a un’azienda in qualità di case study.