La nuova rivoluzione IT? Abbattere il modello delle licenze
Il mondo IT vive di rivoluzioni, è noto. Ogni tecnologia, ogni approccio, ogni innovazione mira non solo a modernizzare lo status esistente, ma a metterne in discussione le sue stesse basi, promettendo – e in qualche caso mantenendo – vantaggi ben più che significativi. Che si parli di hardware o di software non fa differenza, c’è sempre un approccio potenzialmente disruptive che promette di rivoluzionare lo status quo, cambiando di fatto i paradigmi finora utilizzati.
Nel caso dello storage, la rivoluzione prende il nome di storage-defined. Ovvero, nella capacità di spostare la “intelligenza” dall’hardware – le cui innovazioni sono per natura più rigide, e quindi meno frequenti – al software che lo gestisce. Algoritmi avanzati, sviluppati facendo tesoro dei nuovi paradigmi AI e machine learning, consentono di sfruttare al meglio l’hardware sottostante – qualsiasi hardware – permettendo una gestione dei dati realmente “di nuova generazione”, in grado di abbinare prestazioni, flessibilità e affidabilità. In questo modo, le organizzazioni che combattono costantemente con la necessità di salvare, gestire e proteggere dati sempre crescenti in modo ottimale, possono raggiungere questo obiettivo senza doversi legare a una determinata tipologia hardware.
Se la tecnologia si evolve in modo così importante a supporto delle esigenze di business delle aziende clienti, possiamo dire lo stesso dei modelli con cui viene consumata? Stiamo vivendo il passaggio dal concetto di acquisto a quello di consumo, sulla spinta della crescente diffusione del modello di cloud computing. Che si tratti di apparati hardware o di licenze software, ormai per le aziende risulta naturale – oltre che più pratico – legare i costi al determinato utilizzo di una piattaforma, evitando così l’obbligo di immobilizzare capitale in partenza, con tutte le difficoltà – economiche e di gestione – che questo può comportare.
C’è sicuramente spazio per migliorare anche in questo ambito però, adottando lo stesso approccio che ha permesso di rivoluzionare lo storage dal punto di vista tecnologico. La maggior parte delle organizzazioni sa che avrà bisogno di nuovo storage per il proprio business, ma tipicamente non sa né quanto né quando. E allora, la possibilità di legare del tutto l’investimento alle concrete necessità di business, con tutta la flessibilità di un approccio “on demand” può rappresentare un vantaggio non indifferente. Soprattutto quando si va del tutto oltre il concetto di licenza – per utente, per macchina, per utilizzo software, non fa differenza…
La vera rivoluzione in questo ambito è rendere ogni innovazione immediatamente disponibile al cliente, nella sua forma più ampia: tutte le funzionalità, tutte le capacità, tutti i possibili utenti… E parallelamente, tenere traccia di quello che il cliente utilizza e di quando inizia a farlo fisicamente. Su base regolare, seguendo quello che è il modello tradizionale delle utility, il cliente paga per quello che ha utilizzato, senza dover richiedere o attivare licenze ulteriori, senza alcun tipo di provisioning e senza alcuna limitazione che non sia quella della capacità fisica delle macchine che ha a disposizione.
Questo approccio consente di superare del tutto il concetto stesso di licenza, mettendo il cliente nella condizione ideale, quella di poter usare ciò che serve veramente, e non quello che ha comprato. Se il business cresce rapidamente, si avrà la libertà di sostenerlo nel modo più efficace, grazie a un’infrastruttura che cresce nel modo più lineare possibile. Se invece la crescita risultasse inferiore alle aspettative, non ci sarebbe comunque nessun problema di sovrautilizzo delle risorse a disposizione, che anzi, possono anche essere ridotte in caso di necessità. È chiaro poi che, avendo a disposizione tutte le funzionalità accessibili semplicemente tramite un clic, l’utente sarà invogliato a provarle, comprendendo man mano meglio quali di queste possono essere più significative per il proprio business.
Dalla licenza, in sostanza, si passa al consumo, eliminando anche le ultime barriere e avendo a disposizione tutta la libertà di poter seguire l’andamento del business. Un modello di consumo di questo tipo non solo offre al cliente un livello di flessibilità mai visto prima, ma dà anche al vendor la possibilità di entrare ancor di più nei meccanismi del cliente, andando a creare una vera comunione di interessi, che giustifica ancor di più il termine di partnership.
Eliminando di fatto il concetto stesso di licenza, si abbattono le ultime barriere che dividono vendor e clienti, uniti nella realtà per il raggiungimento dei medesimi obiettivi.
Nel caso dello storage, la rivoluzione prende il nome di storage-defined. Ovvero, nella capacità di spostare la “intelligenza” dall’hardware – le cui innovazioni sono per natura più rigide, e quindi meno frequenti – al software che lo gestisce. Algoritmi avanzati, sviluppati facendo tesoro dei nuovi paradigmi AI e machine learning, consentono di sfruttare al meglio l’hardware sottostante – qualsiasi hardware – permettendo una gestione dei dati realmente “di nuova generazione”, in grado di abbinare prestazioni, flessibilità e affidabilità. In questo modo, le organizzazioni che combattono costantemente con la necessità di salvare, gestire e proteggere dati sempre crescenti in modo ottimale, possono raggiungere questo obiettivo senza doversi legare a una determinata tipologia hardware.
Se la tecnologia si evolve in modo così importante a supporto delle esigenze di business delle aziende clienti, possiamo dire lo stesso dei modelli con cui viene consumata? Stiamo vivendo il passaggio dal concetto di acquisto a quello di consumo, sulla spinta della crescente diffusione del modello di cloud computing. Che si tratti di apparati hardware o di licenze software, ormai per le aziende risulta naturale – oltre che più pratico – legare i costi al determinato utilizzo di una piattaforma, evitando così l’obbligo di immobilizzare capitale in partenza, con tutte le difficoltà – economiche e di gestione – che questo può comportare.
C’è sicuramente spazio per migliorare anche in questo ambito però, adottando lo stesso approccio che ha permesso di rivoluzionare lo storage dal punto di vista tecnologico. La maggior parte delle organizzazioni sa che avrà bisogno di nuovo storage per il proprio business, ma tipicamente non sa né quanto né quando. E allora, la possibilità di legare del tutto l’investimento alle concrete necessità di business, con tutta la flessibilità di un approccio “on demand” può rappresentare un vantaggio non indifferente. Soprattutto quando si va del tutto oltre il concetto di licenza – per utente, per macchina, per utilizzo software, non fa differenza…
La vera rivoluzione in questo ambito è rendere ogni innovazione immediatamente disponibile al cliente, nella sua forma più ampia: tutte le funzionalità, tutte le capacità, tutti i possibili utenti… E parallelamente, tenere traccia di quello che il cliente utilizza e di quando inizia a farlo fisicamente. Su base regolare, seguendo quello che è il modello tradizionale delle utility, il cliente paga per quello che ha utilizzato, senza dover richiedere o attivare licenze ulteriori, senza alcun tipo di provisioning e senza alcuna limitazione che non sia quella della capacità fisica delle macchine che ha a disposizione.
Questo approccio consente di superare del tutto il concetto stesso di licenza, mettendo il cliente nella condizione ideale, quella di poter usare ciò che serve veramente, e non quello che ha comprato. Se il business cresce rapidamente, si avrà la libertà di sostenerlo nel modo più efficace, grazie a un’infrastruttura che cresce nel modo più lineare possibile. Se invece la crescita risultasse inferiore alle aspettative, non ci sarebbe comunque nessun problema di sovrautilizzo delle risorse a disposizione, che anzi, possono anche essere ridotte in caso di necessità. È chiaro poi che, avendo a disposizione tutte le funzionalità accessibili semplicemente tramite un clic, l’utente sarà invogliato a provarle, comprendendo man mano meglio quali di queste possono essere più significative per il proprio business.
Dalla licenza, in sostanza, si passa al consumo, eliminando anche le ultime barriere e avendo a disposizione tutta la libertà di poter seguire l’andamento del business. Un modello di consumo di questo tipo non solo offre al cliente un livello di flessibilità mai visto prima, ma dà anche al vendor la possibilità di entrare ancor di più nei meccanismi del cliente, andando a creare una vera comunione di interessi, che giustifica ancor di più il termine di partnership.
Eliminando di fatto il concetto stesso di licenza, si abbattono le ultime barriere che dividono vendor e clienti, uniti nella realtà per il raggiungimento dei medesimi obiettivi.